Il Cetrangolo - Approdo

RUMORI BIANCHI
un'intervista di Chicco Angius

Domande di Chicco Angius:
T: Tommaso Correale Santacroce
S: Stefania Erriquez

Materiale disponibile:
Intervista sull'esperienza di "Rumori Bianchi". - IMMAGINI di Marco Caselli


Carloforte 29 maggio 2001


Qual è stato il vostro ruolo all’interno del progetto?

T. Abbiamo cercato di comunicare ai ragazzi le nostre conoscenze sull’utilizzo dei trampoli non solo dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vista simbolico, quindi con l’uso di materiali video, oppure altre documentazioni in modo che non fosse semplicemente un elemento di abilità fisica, ma anche comunicare qualche cosa di più complesso… siamo stati conduttori di questo laboratorio

S. nel senso che ci siamo distribuiti dei compiti un po’ a seconda delle proprie competenze e del proprio desiderio, chiaramente abbiamo separato per una chiarezza di comunicazione con i ragazzi certi discorsi li portava avanti T altri io, questo più per una necessità di non creare sovrapposizioni

Se io vi chiedessi di raccontarmi a parole vostre questa esperienza laboratoriale voi come lo fareste?

T. Abbiamo suddiviso il programma di incontri con i ragazzi in tre momenti, una prima parte era introduttiva nel senso di conoscere incontrare l’oggetto trampolo e allora diciamo che la prima parte ha visto la costruzione dei trampoli, i primi passi, la conoscenza di che cosa volesse dire l’equilibrio sui trampoli, la visione di gran parte dei materiali, introducendo anche, con l’osservazione dei materiali, l’aspetto dell’espressione

Ti riferisci alle immagini viste in video e supporto cartaceo raffiguranti trampolieri di altre culture?

T. sì nelle altre culture e nel tempo

Questa visione di materiale che importanza può avere avuto per i ragazzi?

T. abbiamo fatto in modo di avere un piccolo scritto alla fine di ogni giornata, non posso dire che ci siano state delle osservazioni dirette dei trampoli africani piuttosto che spagnoli, forse quelli di Anghiano hanno colpito molto la loro fantasia perché avevano una forma differente da quella comune, però io credo che la visione che loro hanno avuto gli si impostasse anche a livello non conscio, intendo la visione di che cos’è l’oggetto trampolo. Sapere che non è soltanto un gioco, ma qualcosa che al di fuori dell’Italia in particolar modo ha avuto e ha una molteplicità di senso, di significato, nonché di utilizzo e di forma… è stata importante questa visione dei materiali. Ad esempio il desiderio di colorarli che è nato ad un certo punto, già previsto da noi, ma che loro hanno richiesto anzi tempo rispetto alla nostra proposta, oppure certe domande su possibilità differenti della forma del trampolo… se noi fossimo arrivati e avessimo detto il trampolo è così senza far vedere uno spettro di possibilità, probabilmente non sarebbero nate queste visioni. Questo significa che loro conoscono l’utilizzo di questo strumento, ma hanno anche all’interno della loro conoscenza l’elasticità mentale per pensarlo diversamente (possibile così ed altrimenti) agirgli delle modificazioni secondo di quello che loro vogliono fare, secondo come sono loro, secondo come gli è più comodo in un certo senso… adatteranno lo strumento trampolo a loro stessi invece di adattarsi loro ad un oggetto che è così perché noi abbiamo detto che è così: un modello. Noi non abbiamo parlato di un modello, abbiamo detto questo è quello che noi preferiamo, ma ci sono tanti modelli, tanti…
La prima fase è stata di questo tipo, la seconda fase è stata condotta principalmente da S, più tecnica, sugli esercizi di propedeutica alla salita del trampolo, riscaldamento fisico…

S. vorrei fare un inciso sulla prima fase, io non avevo mai svolto un lavoro con un gruppo che incontrava per la prima volta il trampolo, mai! Mi ha sempre poco interessata questa cosa perché io ho un rapporto con il trampolo molto intenso, molto forte è spesso viene frainteso l’uso dei trampoli in forme molto ludiche, cioè vengono usati per fare animazione, per cui la paura di creare fraintendimenti di questo tipo mi sembrava forte, ed allora ho sempre concentrato la mia attenzione sul lavoro espressivo, perché secondo me è la parte più interessante.
Però rispetto a questo lento avvicinarsi all’oggetto al proprio oggetto una delle cose importanti che abbiamo cercato di comunicare è appunto che il trampolo è un oggetto personale e il rapporto con il trampolo è un rapporto personale che va costruito che appartiene alla sfera dell’uomo in quanto necessità di risolvere problemi oggettivi o appunto simbolici, espressivi di qualche tipo, di desiderio; trovandoci con un gruppo di adolescenti, grosso modo, per noi era importante creare un terreno di questo tipo perché si creasse questo tipo di rapporto personale, di possesso di appropiazione fisica, mentale con l’oggetto. Questa è una cosa molto importante il fatto di costruire il proprio trampolo il fatto di dipingerlo, di avere dei nomi significava dare valore ad un oggetto che tu hai costruito, il rischio di questi laboratori è che in questa massa di trampoli un trampolo vale l’altro, invece abbiamo cercato di comunicare questo rispetto, in questo senso c’era un programa di pedagogia. Il trampolo come tipo di oggetto da incontrare per gli adolescenti ha questo interesse, permette di aprire tutta una serie di discorsi pedagogici interessanti

T ha introdotto la prima settimana di lavoro, la seconda si parlava di una parte di preparazione al corpo quanto è stata importante questa fase nel lavoro?

S. intanto ti dico che ognuno di noi ha un suo modo di preparare il corpo incontrando il trampolo anche se si lavora sui medesimi principi, io ho proposto il mio però non è migliore di altri, io ho proposto quello che è il mio percorso di lavoro. Non so se siamo riusciti a comunicare questa
Importanza, a mio avviso sì, questo lo abbiamo notato nella terza parte durante la quale abbiamo chiesto ai ragazzi di fare un riscaldamento autonomo e abbiamo visto che una serie di cose erano passate come elementi di lavoro. Secondo me ha avuto importanza perché hanno cominciato a sentire la differenza, cioè una volta conquistata la capacità di stare sul trampolo, staccandosi dal muro, lì si aprivano tutta una serie di problemi… e il lavoro sul bacino, il centralizzare il movimento, il pensare di lavorare fisicamente preparando il corpo all’incontro con il tramopolo e il movimento che questo ti impone, credo che sia stata vissuta come una parte importante, io credo che sia rimasta questa cosa, poi non so quanto verrà praticata

T. quando si è ragazzini è difficile che ci si metta a scaldare i muscoli prima di fare uno sforzo fisico

S. perché tutto è già pronto, no!

Quindi la seconda settimana centrata sul corpo, sulla preparazione fisica al trampolo e poi anche…

T. è stato portato avanti un momento introduttivo ad ogni incontro, un elemento di racconto per contrastare quello di cui adesso parlava S. sull’utilizzo del trampolo, per contrastare la visione del trampolo come una cosa unicamente di effetto dove tu fai vedere la tua abilità a camminare su due pezzi di legno più o meno lunghi. Per noi era importante che questo camminare sui due pezzi di legno non fosse fine a se stesso, ma diventasse un canale espressivo per i ragazzi. Allora mentre da una parte si lavorava sulla capacità fisica di recepire le possibilità del trampolo, dall’altra si premeva a sviluppare una capacità di racconto, in modo che le due cose, magari non direttamente, potessero essere viste affiancate come due cose che in un qualche modo centravano fra di loro

Come mai questa cosa del racconto tradotto? C’è una ragione particolare rispetto a questo linguaggio inventato da ognuno, e quindi in un certo senso anche molto personale, e la traduzione dell’altro?

S. secondo me e comunque rispetto al trampolo, questo stare sul trampolo era uno stare altrove, quindi un altro mondo di pensiero, di sentimento, di linguaggio e poteva avere un senso questo spingere ad inventare un linguaggio e poi a fare in modo che questo linguaggio diventasse un racconto leggibile a chi era a terra era anche forse il modo per sottolineare questa lontananza questa diversità che cerca di incontrare, che fa di tutto per avvicinarsi a terra, però rimarcando di fatto quello che già fisicamente il trampolo secondo noi a livello non solo fisico ma anche simbolico fa, quello di trasformarti, di portarti altrove, di venire da lontano o di portarti lontano… per me aveva questo significato

T. sì assolutamente è risaputo che stare sui trampoli sposta la percezione di chi va sui trampoli e contemporaneamente viene vissuto da chi non è sui trampoli come una persona che sta in un altro posto, lo rivelano proprio alcune domande tipiche che vengono fatte a chi va sui trampoli: “ che tempo fa lassù?” oppure modi di dire come “è un po’ strampalato” come per dire che ha la testa da un’altra parte. Allora per noi sempre nello stesso tipo di ottica era importante che questa sensazione di essere in un altro luogo, allora quest’altro luogo che cosa era? Che forma aveva? Allora indicare una sensazione che si percepisce, alla quale essendo dentro di sé nonsi dà una forma particolare, ed parlare di questo, parlare di una persona che sta da un’altra parte, fra queste due cose c’è un tramite, ed allora ecco comparire il traduttore

S. sì perché diciamo che il compito più difficile che ci si poneva nella seconda settimana fondamentalmente era cominciare ad introdurre una serie di elementi di lavoro sul personaggio a dei ragazzi che cominciavano a lavorare sul trampolo che in un certo senso era come portare avanti due laboratori contemporaneamente, ed allora ci siamo posti questo problema e la seconda settimana ha cercato di affrontarlo… di portare avanti un rapporto di familiarità con questo oggetto non dico ancora espressivo, però proprio di familiarità, di sintonie con lo strumento: il sentirsi sul trampolo è un’esperienza fisica ed emotiva molto forte che è difficile comunicare, noi la conosciamo benissimo e quindi sapevamo che i ragazzi erano in quello stato lì, stavano realizzando un’esperienza fisica ed emotiva molto forte, dove comunque subentra un’alterazione della percezione e dentro quell’esperienza noi dovevamo trovare il modo per introdurre questo elemento di lavoro sul personaggio, sull’essere attori sul trampolo

T. era anche un modo per incanalare, per dare una forma… come comunicare quest’aspetto di spessore all’utilizzo dei trampoli, spessore di senso. In Italia forse il canale è questo, è quello di comunicare il lavoro di attore, poi noi siamo attori facciamo un lavoro d’attore sui trampoli quindi è anche la nostra cosa propria. Può darsi che se tutto fosse avvenuto in Africa si sarebbe parlato di rituale e di religiosità e il corso dei trampoli non sarebbe stato un corso di trampoli ma un’iniziazione.

La terza settimana?

T. se la prima era un misto fra espressione e tecnica, semplificando molto, la seconda più mirata all’aspetto tecnico e alla crescita interna, la terza settimana ha cercato di dare una maggiore forma, quindi spingere sicuramente di più sull’aspetto espressivo comunicando questo: “ va bene tu adesso hai acquisito una certa abilità impostata in questo modo, che cosa ne fai? Come la puoi utilizzare?"
E allora da lì diverse esperienze sensoriali, cercare la camminata da soli, in gruppo, con una forma di pubblico, una sola persona, un amico, uno sconosciuto, due persone, un piccolo gruppo fino alla situazione conclusiva dove per noi era importante per fargli capire che potenzialità avesse l’utilizzo dei trampoli in un momento con più pubblico, più pubblico in un momento caotico, più pubblico in un momento più protetto e più controllabile. E allora da qui la scelta di più luoghi, di più momenti dove costruire, dove comunicare queste diverse percezioni

Sono già venuti fuori, ma se vi dovessi chiedere quali erano gli obiettivi principali di questo laboratorio che cosa mi rispondereste? Che ne so magari tu ne avevi dei tuoi personali, tu degli altri, il Cetrangolo altri…

S. sì ci sono più livelli dai più intimi ai più ragionati penso che il primo fosse questo di comunicare questo tipo di passione, di rispetto che mi lega al trampolo, di comunicare la mia esperienza, mi sentivo… forse più che un obiettivo era un desiderio, non lo so se chiamarlo obiettivo o desiderio; poi delle volte si confondono le cose, sì non l’ho vissuta in termini molto tecnici la cosa.
Poi chiaramente ho ragionato su che cosa significava comunicare un’esperienza e trasformarla in una tecnica da comunicare, questa è stata la parte più interessante.
Poi gli altri sono quelli che ha nominato T tutto era centrato sul rapporto con il trampolo, quindi anche rispetto al lavoro performativo tutte le possibilità di arrivare a far fare l’esperienza delle varie possibilità di lavoro con il trampolo, da soli in coppia in movimento in uno spazio grande in uno spazio piccolo, in una dinamica di teatro di strada, dove più attori si muovono contemporaneamente in posti diversi, dove lo spettacolo parte in momenti diversi. Può essere anche una cosa che crea inquietudine perché rispetto ad una forma tradizionale di teatro c’è un gruppo che parte insieme in uno stesso luogo… no… a fare un lavoro. Io che comunque ho tantissima esperienza di teatro di strada ti dico che non è così e loro hanno fatto un’esperienza di dinamica di lavoro in strada che appartiene alla dinamica del teatro di strada in senso più canonico, delle azioni teatrali che assediano un luogo, di attori che partono in momenti diversi, in luoghi diversi si incontrano e poi ritornano ad essere da soli. Quindi dal punto di vista dell’esperienza teatrale che noi volevamo realizzare questi erano vari obiettivi far fare ai ragazzi diverse tipi di esperienze; probabilmente alcune sono state sentite meglio altre peggio, forse non sono piaciute tutte; anche rispetto alla scelta del trampolo noi non è che abbiamo imposto qualcosa, noi abbiamo cercato di raccontare che esistono un’infinità di tipi di trampoli, tanti quante sono state le esigenze dell’uomo nel corso della sua storia di risolvere problemi e questo riguarda la tipologia dell’esperienza teatrale che si può realizzare in strada e generalmente con il trampolo, senza imporne una ma facendo attraversare questa gamma… perché appunto il rapporto era con un laboratorio quindi era un esperienza di conoscenza di apprendimento che noi portavamo a fare e non realizzare una cosa unica, poi rispetto alle scelte abbiamo sempre detto ci sono tanti tipi ma noi abbiamo scelto ad un certo punto questo tipo ed è quello che noi vi comunichiamo, ci siamo fermati su questa morfologia di trampolo, così come per quel che riguarda la forma spettacolo ce ne sono un’infinità, abbiamo provato diverse situazioni però poi ne abbiamo scelta una che era la nostra…

Quindi in un certo senso attualizzare una morfologia di trampolo, una forma di spettacolo lasciando aperte le altre possibilità?

S. sì, l’obiettivo era questo e credo che da parte nostra sia stato raggiunto

T. non è un caso che uno dei partecipanti del laboratorio si sia andato a costruire dei trampoli personali con dei materiali ancora più sofisticati. Comunque a livello di obiettivi sicuramente, per quanto ci riguarda, era cruciale questo di cui ha parlato Stefania, cioè la comunicazione della passione, della passione di qualche cosa che avesse un senso il più completo possibile.
Per me un momento meraviglioso è stato quando finita la prima uscita con i trampoli dei ragazzi, la prima uscita dei momenti finali… delle presentazioni… è stato vedere Rosanna prendere il trampolo e baciarlo, dicendo: “ti amo, ti amo”. Per me questo è stato molto forte!
Poi ovviamente ci sono gli aspetti più tecnici dove si risponde anche ad un certo tipo di richiesta fatta da voi, dall’associazione. Lavorando con delle persone, lungo il percorso si scopre che queste persone dovranno affrontare dei loro passaggi, allora dei sotto obiettivi, in un certo senso, diventano riuscire a far parlare una persona quando va sui trampoli, riuscire a farla muovere in un modo migliore, vedere quanto nell’arco i tre momenti delle tre settimane questa persona alla fine abbia superato delle insicurezze che aveva, perché ci sono persone che salgono sui trampoli e partono, altri devono affrontare un passaggio con la propria paura, anche con il proprio corpo che magari hanno sempre utilizzato poco ed invece si trovano a fare una cosa che più nella loro testa che nella realtà è relativa all’abilità corporea, alla percezione corporea. Allora al di là del programma, dell’incontro, delle settimane che magari noi ci siamo già impostati prima di partire e che ogni giorno ricalibravamo a seconda di come andava il gruppo… al di là di questo c’erano come dei fili interni per cui si sapeva che a quella persona si doveva far fare di più una cosa piuttosto che un’altra e almeno per quanto mi riguarda lungo tutto il lavoro questi obiettivi diventano molto forti, molto grandi, alcuni si raggiungono altri no. Forse la maggior parte degli obiettivi che non si riescono a raggiungere sono proprio in queste piccole cose, perché in realtà ogni persona ha una vita che va al di là del laboratorio. Però il laboratorio su uno strumento come il trampolo che va veramente a raggiungere l’animo, perché va a scuotere le paure, l’immaginario, il fisico proprio con il rischio, con la fatica, le vesciche se li hai portati in maniera scorretta, l’attenzione a come stai, al legno se non si è rovinato nel frattempo, se hai stretto bene i bulloni… tutto questo scuote molto nel profondo

Qual è la valenza pedagogica di un laboratorio di trampoli con dei ragazzi la maggior parte dei quali sono adolescenti?

S. sì prima stavo dicendo che il trampolo, più che altre cose, mette in evidenza questa dimensione pedagogica. Questo al di là del fatto che in questo caso ci trovavamo a lavorare con degli adolescenti. Questo perché si tratta di uno strumento che in sé… che chiede di metterti in gioco completamente, di portare attenzione a quello che stai facendo, partendo dal: “di che materiale è fatto questo oggetto, me lo costruisco io…” quindi dare valore a questa parte che normalmente si salta, si da per scontata, ed invece partire da lì con tutto un momento faticoso, quello della costruzione, che significava in realtà appropiarsi fisicamente, guadagnarsi quello strumento che poi dovrà garantirti una sicurezza, perché poi si affida a questo strumento la propria sicurezza.
Quindi secondo me questo è un tema che ora come ora ha una grande importanza, quello di riuscire a dare significato a dei gesti, questa dimensione se vuoi anche artigianale, del costruirsi lo strumento del proprio lavoro, del sapere di che cosa è fatto e del sapere che ogni gesto comunque costruisce una particolare energia, una particolare qualità di rapporto, riuscire a comunicare questo attraverso dei gesti, perché teoricamente non ha neanche senso quello che sto dicendo, però praticamente ha un fortissimo valore. Questo è un livello, l’altro livello è rispetto a degli adolescenti la richiesta di attenzione, c’è una tendenza a distrarsi facilmente, prendere una cosa dire : “ si è facile, la mollo”, insegnare che il trampolo è il tuo stesso maestro, ti punisce, si cade, ci si fa male.
Lavori sulle tue paure però al tempo stesso quando ti sei conquistato coraggio e il mantenere un livello di attenzione sempre alto su quello che tu stai facendo, avere coscienza…

T. … su questo è bellissimo, ti interrompo solo un attimo, qualche volta è successo che qualcuno di loro ci ha detto: “no, oggi non mi sento, devo scendere, perché mi sento distratto, sento che ogni tanto vado da un’altra parte con la testa e so che questo diventa pericoloso, per cui oggi non vado”.
Ed allora li si faceva fermare un attimo: “noi andiamo avanti, quando ti senti più in forza ritorni nel gruppo”

Quindi una maggiore autoconsapevolezza di quelli che possono essere i propri limiti?

S. assolutamente, infatti nel training, nell’allenamento che ho proposto io, a parte il lavoro fisico dello scaldare, del muovere, del cominciare a risvegliare alcune parti del corpo che normalmente noi utilizziamo ma non siamo consapevoli di utilizzare, anche stando in piedi, anche camminando noi nuotiamo nella gravità, però non ce ne rendiamo più conto, nel trampolo questo nuotare nella gravità come pesci, come trote contro corrente è un’esperienza dirompente, e tutta la straordinarietà di questa cosa viene rivista con i trampoli: è l’esperienza dirompente del bambino che comincia a camminare, che comincia a stare in relazione con la gravità con il mondo, con la terra ed è questa un’esperienza potentissima di cui noi adulti, crescendo, perdiamo i riferimenti.
Quindi significa tornare a fare quell’esperienza nota a tutti di cui non siamo più consapevoli.
Allora a parte il lavoro fisico che serve appunto per risvegliare quelle zone del corpo di cui ci siamo dimenticati, che sono le zone dell’equilibrio… noi quando camminiamo non stiamo pensando che il collo o il bacino ci sta aiutando a stare in piedi, stiamo in piedi e basta… invece sul trampolo abbiamo dovuto ricominciare a pensare questo.
Un altro livello era il rapporto di coordinazione mente e corpo, questa è un’altra cosa che si perde nel tempo, siamo scoordinati la mente va da una parte il corpo dall’altra e tutto sommato nella vita che si conduce normalmente questo non crea grossi problemi, ogni tanto diventa problema. Sul trampolo invece è fondamentale, però in realtà per un benessere più generale, però rispetto al trampolo questo coordinare un’energia mentale, una presenza mentale con una presenza fisica, risvegliare (alla coordinazione ci si può lavorare una vita intera, non si finisce mai di trovare elementi nuovi)… questo era un altro piano.
E poi secondo me dal punto di vista… sempre per ritornare al discorso degli obiettivi anche riferiti ad una valenza pedagogica, l’altro livello è l’autonomia.
Noi abbiamo cercato di rendere autonomi questi ragazzi nel rapporto con questo strumento, che significa rispetto al trampolo rapportarsi con il cadere, con la caduta e con la salita dal trampolo fondamentalmente

Intendi la caduta accidentale o quella con il bastone?

S. no, la caduta con il bastone è il primo livello, perché in realtà discendere e risalire… questo immediato passaggio da un piano ad un altro che non può avvenire se tu indossi i trampoli stando seduto da qualche parte o se magari qualcuno ti spinge su. Chiaramente lo sperimentare una discesa con il bastone a livello profondo aiuta a reagire meglio rispetto ad una caduta accidentale come già è avvenuto poi in situazione performativa, e i ragazzi, io di questa sono stata molto contenta, hanno reagito con un’estrema capacità, sapendo che cosa era accaduto, sapendo stando giù in che situazione si trovavano e sapendo come poter tornare in quell’altra

T. poi senza portarsi strascichi di paura: “ sono caduto allora non ci voglio più salire perché è pericoloso”, ormai sapevano che era un elemento possibile da affrontare nel modo più tranquillo, addirittura hanno visto anche me cascare con i trampolini piccoli cercando di raccogliere un bastone, però anche in quell’occasione non è stata una cosa così importante vedere il maestro cadere dai trampolini. Va beh è una delle tante cose che con i trampoli può succedere.

S. questo è un risultato importante ed in questo senso dal punto di vista pedagogico è un lavoro di autostima e di fiducia, perché in quel momento il cadere dal punto dio vista proprio profondo e percettivo è quasi un’umiliazione, un ridiscendere

T. su quest’aspetto ha lavorato tantissimo l’inserimento dei trampoli bassi, perché era un momento estremamente delicato, si trattava di dire ad alcune persone: “ tu vai su quelli bassi” e allora il rischio diretto è: “ah vado su quelli bassi perché non sono abbastanza bravo da andare su quelli alti” chi va su quelli alti è bravo, chi va su quelli bassi è cattivo o meno bravo. Io credo che alla fine non ci sia stata assolutamente questa percezione, ma anche tra di loro non ci sono state forme di: “ tu vai su quelli bassi quindi stai lontano da noi che sappiamo andare su quelli alti” anche perché si è visto che se li sono scambiati. Noi abbiamo puntato ovviamente a tenerli su quelli alti il più possibile tutti, perché conoscessero a fondo la tecnica d’uso dei trampoli, che su quelli bassi magari puoi permetterti un margine di… non dico di errore... ma intanto l’impatto con la paura è meno forte e così anche l’impatto con il fisico è meno forte, perché gli spostamenti seguono molto di più i tuoi di quando sei a terra, rispetto a quando sei in alto che hai un movimento che richiede un ritmo molto preciso, uno sforzo perché il legno inizia ad essere di una certa quantità. Per cui come diceva S. molto l’autostima, molto la visione di se stessi e poi una visione di se stessi in un gruppo, in un gruppo di persone che stanno imparando qualche cosa di eccezionale che gli altri adulti, coetanei, sconosciuti/conosciuti molto probabilmente non sanno fare.
Io credo che sia uno strumento molto forte perché si fatica per impararlo... noi abbiamo cercato di fargliela sentire il più possibile, la fatica, perché se la ricordassero, che poi viene gratificata in maniera molto precisa ed efficace con chi spalanca la bocca nel guardarli, perché il trampolo è un elemento così forte che sei sicuro che crea l’attenzione; allora c’è un ciclo che si apre e si chiude, si apre con l’osservazione dell’oggetto che ancora non costruisci e che poi costruirai e si chiude con la gratificazione di uno sguardo su di te. Il ragazzo ha un ciclo molto importante di apertura e di chiusura, anche questo per lui è importante, capire che è partito in una condizione ed è arrivato in un’altra tramite il suo sforzo.

Dicevate che a livello di gruppo si è sviluppato un certo tipo di lavoro e pur inserendo a livello di centimetri delle differenze non si è verificato nessun disequilibrio

T. no

S. questa era una cosa che noi tutto sommato eravamo già consapevoli che avremmo inserito, già dalla seconda settimana però non abbiamo mai fatto parola proprio per non alimentare strani pensieri rispetto a questo

Tutto rientra nel discorso prima affrontato della specifità di ognuno del baricentro, del corpo…

T. quel ragazzo che se li è costruiti li ha fatti da 50 cm e non di meno

S. per loro è chiaro che ogni altezza ha potenzialità espressive diverse ed ognuno deve cercare do riconoscere la propria e quindi ognuno si è sentito riconosciuto nella propria, perché io credo che chi ha costruito un buon rapporto con il trampolo da un metro desiderasse continuare a mantenere quel rapporto e chi è riuscito a trovare un buon rapporto con il trampolo basso da mezzo metro è stato grato a quest’altezza… ha aperto dei canali, ha trovato dei canali, ognuno ha trovato un senso espressivo preciso con il tipo di trampolo che gli era stato più o meno assegnato, ma noi lo abbiamo fatto in relazione a quello che ci ritornava dai ragazzi

T. infatti una cosa bella era vedere prima dell’inizio degli incontri con noi, se noi arrivavamo un 10 minuti prima, vedevamo che si scambiavano i trampoli di diverse altezze dicendo: “per provare”, mi ricordo un giorno c’era la fila delle persone che volevano provare quelli da 30 cm perché era un’esperienza ancora diversa

S. a molti magari non piaceva perché le sensazioni che loro cercavano e trovavano nel metro di altezza non gliele poteva dare il trampolo basso

Che cosa si aspettano di forte i ragazzi, secondo voi? Qual è stata la loro richiesta più forte che avete percepito?

T. la prima metà del laboratorio, noi abbiamo sempre fatto questa verifica alla fine della giornata in cui scrivevano delle frasi, una ricorrente tantissimo era: “riuscirò a superare la paura?” “riuscirò a camminare bene con i trampoli?”

S. si questi erano i dubbi di tutti, non ci credevano, credo che forse loro ora non ricordino quasi più questo non crederci

T. ci sono queste frasi di esclamazione il primo giorno in cui si sono trovati bene sui trampoli: “oggi stavo benissimo” “ci sono riuscito” “evviva non credevo”

I momenti difficili del laboratorio? Ci sono stati dei momenti difficili?

S. per me è stato il mio incidente, perché io avevo deciso che in questa settimana avrei anche io finalmente condiviso un’esperienza che i ragazzi stavano cominciando a fare e avrei con piacere condiviso questa cosa lavorando sui trampoli e finalmente mostrando una serie di cose, portandoli avanti, spingendoli avanti… dai trampoli chiaramente. Anche perché in tutto questo tempo c’era il nostro desiderio di salire sui trampoli che non si poteva realizzare, quindi un’attesa, un’attendere questo momento con loro, questo momento in cui loro avrebbero detto: “finalmente!”. Noi eravamo in ansia con loro, in angoscia con loro rispetto a queste paure e sapevamo che ci voleva tempo, non dovevamo avere fretta su questa cosa qua; quindi io sono arrivata molto carica rispetto a questo momento che mi aspettavo di vivere e per me è stato un passaggio critico, perché ho dovuto ridimensionare, cancellare questa possibilità e cercarne un’altra stando a terra, però sapevo che una serie di immagini non potevano più arrivare

Al di là di questa esperienza personale, io mi riferivo più a problemi e momenti di difficoltà che possono essere nati con i ragazzi, ad esempio la caduta di Limbo. Che cosa ha smosso?
O altri momenti, altre difficoltà all’interno del gruppo, tra voi ed il gruppo?

T. da un certo punto di vista, la caduta di Limbo, almeno per quanto riguarda me e il mio percorso di pedagogia coi ragazzi, non ha modificato molto se non che uno si trova ad affrontare in maniera diretta il discorso sulla paura ad avere un attimo di regressione dell’intero gruppo per uno spavento che si è comunicato a tutti, però diciamo che, con i vari laboratori di trampoli che ho fatto, è una cosa che si mette in conto sin dall’inizio questa possibilità… e quindi non mi ha alterato il percorso nemmeno nella relazione con i ragazzi. E neppure con Limbo, che purtroppo poi non ha più partecipato al laboratorio nel senso di risalire insieme con gli altri sui trampoli; sia perché doveva far passare il problema fisico al braccio e sia per gli impegni scolastici e di lavoro, cose che già ci aveva anticipato all’inizio, sia, penso, anche per motivi di paura.
Dal mio punto di vista ho avuto più problemi con le figure intermittenti del gruppo, cioè coloro che partecipavano, sparivano, si assentavano al laboratorio poi ricomparivano e che creavano dei ritmi non uniformi con un gruppo che invece era molto compatto molto solido, anche chi faceva fatica non era mai troppo distante e chi era molto più abile riusciva a tenerselo vicino, io ho visto delle immagini con persone che ci sapevano già andare bene da qualche giorno che portavano per mano chi ancora traballava cosa che non è successa con coloro che invece erano intermittenti nella presenza. Abbiamo dovuto supplire io e S. questo aiuto particolare, in controtendenza con l’intero gruppo

Stefania?

S. sì, sono d’accordo con T stavo cercando di capire in che senso difficoltoso, comunque sì sono d’accordo…

Altre difficoltà tue?

S. rispetto al lavoro con i ragazzi nell’ultima parte c’è stato un allontanamento per quello che mi riguarda nel rapporto con i ragazzi, io non arrivavo più in modo diretto sui ragazzi a lavorare, un po’ perché mi sono tirata fuori io da un certo tipo di ruolo, anche per via del mio incidente, quindi non potevo comunicare in modo diretto una serie di cose, e un po’ perché si andava costruendo altre cose, non so… ma non è una difficoltà, però rispetto al rapporto con i ragazzi ho sentito un allontanamento rispetto ad una mia aspettativa di avvicinamento, io credevo che sarebbe dovuto accadere il contrario ed invece… ancora devo riflettere sul perché di questa cosa

E’ difficile interessare i ragazzi e coinvolgerli a portare avanti un certo tipo di impegno, non so se avete mai osservato un vostro stile di lavoro nella conduzione di laboratori, se sì quale?

T. io credo che una cosa che abbiamo verificato molto nelle prime due settimane è stato che dopo i primi due-tre incontri io e S. ci siamo divisi anche il modo con cui entravamo in contatto con le singole persone a seconda delle difficoltà che loro incontravano. A seconda della difficoltà interveniva S in un certo modo perché era più legata non solo alla sua specificità di essere attrice sui trampoli, ma alla sua sensibilità come persona che la portava ad agire sulle persone in un certo modo che era molto differente del mio, viceversa in altre situazioni intervenivo io con S. che si faceva da parte

S. sì, è vero ci siamo accorti di questa cosa ma ce ne siamo accorti dopo, non l’abbiamo scelta inizialmente

T. dopo due-tre giorni è successa questa cosa

S. infatti, siccome il laboratorio aveva al suo interno velocità diverse ognuno prendeva una velocità

T. anche il fatto che a lei interessava molto lavorare con persone che avevano già una certa capacità con i trampoli, invece a me piace molto l’inizio, il momento dell’inizio, per me questo è un momento fondamentale nel teatro come nella vita, è una cosa che mi piaceva molto quindi è stato abbastanza istintivo dividersi anche certi momenti

Quindi adattare anche quelle che sono le vostre specificità di persone…

S. sì, ai ragazzi non abbiamo dato un’uniformità di proposte io credo che loro abbiamo percepito due stili diversi e questi erano in relazione alla personalità, a seconda del problema che avevano si rivolgevano o a me o a T selezionando il tipo di problema

Nell’incontro se pur breve con questi ragazzi avete avuto modo di confrontarvi con dei giovani che vivono in un luogo particolare, che cosa vi è arrivato? Che immagine vi è arrivata di questi giovani e della vita che fanno?

S. a me sono arrivate delle grosse inquietudini, comunque ho sentito dei ragazzi molto inquieti, molto in difficoltà, non so come dire… quasi caratteriali. Nel senso che poi è come se ci fosse qualcosa in questo posto, nel vivere in un’isola di un’isola, in questa condizione che per me è abbastanza sconosciuta, abbastanza lontana dal riuscire a comprenderla… ci fosse qualcosa nello stare qui che ti spinge, inconsapevolmente… è un’inquietudine che si deve risolvere tutta dentro questi 30 Km di isola. Gli adolescenti sono tutti inquieti, però altra cosa è dover affrontare questo tipo di situazione in questo contesto. Per esempio mi ha colpito che giovani di età diversa, questo anche parlando con gli altri, avevamo un’escursione di età che andava dai 15 ai 30, che poi trovassero tutti lo stesso modo di stare insieme e di giocare, che diventassero gruppo comunque al di là del laboratorio anche fuori, cosa che riportata in altre situazioni di gruppo di ragazzi ad un certo punto si separano: i 15enni stanno… i 30enni in un’altra situazione. C’era gente che faceva le medie, il liceo e l’università che però poi alla fine in situazioni di divertimento, di gioco… stesso modo. Questa è una cosa che mi ha colpito e che quindi mi ha riportato un po’ il vivere qui. tutto sommato, che lo sentivo diverso da altri modi; poi magari io non ho grandi riferimenti, forse.
E poi rispetto a questa inquietudine che sentivo che ognuno di loro ha come somatizzato un modo di risolverla o di affrontarla, perché ognuno di loro preso singolarmente c’ha qualcosa che nel corpo, nel modo di parlare, nel modo di agire, di ridere si è come… che ognuno è presente con una particolarità, come se ognuno avesse un tick, non è un tick, però fisicamente tu lo riconosci e che è un modo di affrontare una situazione, che è la soluzione personale ad una situazione precisa e la senti molto forte questa cosa qui (intendendo il luogo). Io ho incontrato gruppi di adolescenti molto più problematici con situazioni molto gravi, che non centrano con questa situazione, che però tutto sommato potevo uniformare no, mi sembrava che comunque ci fosse una risposta uniforme di un gruppo che più o meno aveva la stessa età. Ed invece io qui mi trovavo con un gruppo che aveva un’escursione di 15 anni tra uno e l’altro e ognuno aveva un suo preciso carattere, ma molto spiccato, molto forte, uno diverso dall’altro. Questo a me è ritornato

T. anche per me è stato molto forte questo, ma l’ho vissuto in maniera completamente diversa, non avrei assolutamente usato il discorso del caratteriale etc… Invece io l’ho vissuta come molto positiva questa cosa di crearsi un gruppo molto uniforme nei modi, nella capacità di relazionarsi tra loro etc… e questo credo che sia legato al fatto della comunità, in cui bene o male tutti si conoscono

S. comunque per me non è una cosa negativa questa che ho descritto

T. no perché sei partita con una cosa…

S. caratteriale non è una cosa negativa

Forse T, si riferisce all’inquietudine?

T. sì, anche questa cosa dell’inquietudine, devo dire che con gli adolescenti la si riscontra quasi sempre, la particolarità è che qui è molto leggibile, in un certo senso, è come se essendo in una comunità che bene o male uniforma tutti in determinate cose, ciascuno, quello che lei ha chiamato per assurdo anche tick, ciascuno trovi un suo modo per essere leggibile.
Allora hai dei tipi… per me molto belli, io ho trovato dei bellissimi ragazzi, delle bellissime persone

S. io non è che li ho trovati brutti

T. sì, però io per descriverli non avrei utilizzato il termine caratteriale, inquietudine etc… tutto lì, io sarei partito: “ho trovato dei bei ragazzi”, tu sei partita dicendo: “ho trovato dei ragazzi caratteriali”, in questo penso sia la mia percezione personale un po’ differente. Però questa situazione normalmente è difficile trovarla, in altri posti, perché magari finiti i laboratori ciascuno parte e si fa 30 km per tornare a casa e non ha momenti di scambio o precedenti conoscenze con il laboratorio, di contro mondi veramente differenti si incontrano in questi laboratori… ed invece qui, in questo posto, capisci che alla fine anche se due persone non si frequentano fuori sanno benissimo chi è l’altro e che cosa fa l’altro

S. sì, comunque io sono d’accordo con te, ho usato altri termini forse meno felici, però inquietudine non la nego come termine

T. e poi una cosa che mi è dispiaciuta molto è che non abbia continuato SEBA, perché anche dalle cose che aveva scritto, aveva scritto delle cose proprio…: “è ancora più bello di quando ho imparato ad andare in bicicletta”, il fatto che comunque lui avesse questa evidente difficoltà fisica e si confrontasse con un’abilità invece molto particolare, che comunque ha affrontato perché lui è arrivato al punto in cui andava autonomamente, si è staccato dal muro da solo e senza mani, senza mani di persone che lo tenessero da sotto.
Così come anche per altre figure che hanno partecipato al laboratorio e lo hanno portato fino alla fine, figure che solitamente non incontri in queste situazioni. Penso ad Emanuela, è evidente che non ha mai fatto nulla con il suo corpo e di colpo si trova questo e con una gioia, con una espressività negli esiti finali con il pubblico che mi ha veramente stupito



torna su